Nel mio lavoro clinico con bambini e famiglie, mi occupo di sostenere i processi evolutivi là dove si manifestano fratture, fragilità o blocchi nello sviluppo. Le situazioni che incontro spesso riguardano difficoltà di simbolizzazione, gioco, regolazione emotiva, e soprattutto la costruzione di spazi relazionali sicuri "intersoggettivi" dove potersi costituire come soggetti.
Nell'installazione No Man's Land (TwoRooms Gallery, Auckland, 2010), Cornelia Parker tesse una tensione strutturale e affettiva tra due spazi adiacenti, divisi ma intimamente correlati. I due "tendaggi" sospesi, costruiti con reti di sicurezza e tessuti trapuntati, sono tenuti in equilibrio da un sistema di fili che li ancora e, allo stesso tempo, li espone al vuoto che li separa. Si genera una tensione tra l'idea di 'ripari leggeri' separati, senza pareti, senza veli di protezione e un'atmosfera di provvisorietà, di instabilità, che suscita un senso di inquietudine, una sorta di allerta silenziosa che aleggia tra le maglie dell'opera.
Colpisce anche la capacità dell'installazione di evocare un'assenza di luogo: uno spazio sospeso tra protezione e minaccia, intimità ed esposizione. Allo stesso tempo, mi piace immaginare che essa parla anche di una forma di luogo emergente: la possibilità di un ambiente di sostegno, supportivo, uno spazio di transizione, un terzo spazio in-between dove si attivano i processi psichici profondi e dove significato, relazione e trasformazione possono co-costituirsi.
L'installazione risuona profondamente con l'atmosfera e la sensibilità che cerco di evocare nella mia
pratica. Riflette con forza i temi della sospensione, della molteplicità, della presenza-assenza, della
fragilità e della trasformazione, del posto sicuro (safety place) e della paura del luogo o del non luogo - agonico (caduta , risucchio, esplosione, .... ), temi che sono centrali sia nell'ascolto clinico sia nel lavoro psichico. L'opera di quest'artista britannica diventa per me una metafora toccante e precisa dello spazio clinico. Un luogo che non difende o si difende, ma accoglie. Dove la sicurezza non è fatta di muri ma di presenza, ascolto, riconoscimento. Uno spazio transizionale (Winnicott), plastico e potenziale, che consente di abitare insieme la vulnerabilità, senza essere travolti. Nei percorsi dell'età evolutiva, queste immagini risuonano come forme di memoria incarnata di esperienze precoci di contatto, contenimento, rottura, riparazione; memorie affettive e sensoriali dove talvolta la parola è un filo ancora troppo lontano da impiegare. E allora serve dare dignità al bisogno, accoglienza al dolore; costruire "con pazienza" un segno, anche minimo, che possa aprire a una simbolizzazione futura.
Come nella stanza d'analisi, anche nelle installazioni di Parker il vuoto tra le maglie non separa, ma connette: è il luogo stesso in cui la relazione accade. Questo "tra" - tra corpi, affetti, immagini - è il campo in cui si co-costruiscono senso, simboli, possibilità di cambiamento. È lì che lavoro: nei passaggi incerti dello sviluppo e dell'apprendimento, nei vuoti che possono diventare pieni, nei troppo pieni che possono diventare eccessi o trappole eccitanti; nelle storie non ancora dette che chiedono di essere pensate e raccontate, nel gioco non ancora giocato e sognato, nel gesto, nella presenza.